Quello che temo della società in cui vivo è, tra le tante cose, la
sensazione che si sia persa, quantomeno assopita, la consapevolezza
individuale, sacrificata a una sempre più ampia e rassicurante consapevolezza
collettiva, nel peggiore dei casi inconsapevolezza collettiva.
Ho l’impressione che una maggioranza crescente di persone
necessiti di sentirsi dire cosa fare, come farlo, cosa è giusto e cosa
sbagliato. Tutto questo è rassicurante, certo, ma fa sì che l’uomo perda se
stesso, perda il contatto con il proprio corpo tanto quanto con il proprio
essere e il proprio sentire. Cosa desidero davvero? Cosa mi piace? Cosa mi fa
stare bene? Il taglio di capelli, le frequentazioni, gli amici… Non credo che
ci sia una risposta giusta e una sbagliata (salvo per i dati di fatto), non metto
giudizi, solo credo che in pochi si porgano la domanda. Lo si fa e basta.
Oppure si fa il contrario agendo in opposizione rientrando di fatto in un’altra
grande e massiva categoria tale e quale alla precedente. Questo mi preoccupa.
Compro un paio di scarpe, un modello di cellulare, un marchio di biscotti
perchè mi piace, lo preferisco, non perchè lo fanno tutti… Oppure non lo compro
perchè non voglio essere come loro e sono come tutti quelli che non sono come
loro, finendo per comprare l’altro marchio o a riciclare gli abiti della nonna…
anche il vintage fa tendenza… La pubblicità è ovunque, subliminale o
sfacciatamente esplicita, a dirci cosa è meglio, cosa è giusto. Credo che porre
l’attenzione in primis verso il nostro corpo sia parte fondamentale e basilare
per la conoscenza di noi stessi. Credo che sia interessante e utile
concentrarci sulle piccole cose, la posizione della nostra mano quando
impugniamo lo spazzolino da denti al mattino, in che posizione si trova il
nostro corpo quando ci mettiamo le scarpe, che sensazione proviamo quando
camminiamo sull’asfalto o sulla sabbia, il suono che fa quella fetta di mela
mentre la mastico, che differenza sento quando ho mal di testa o quando ho mal
di denti... Credo che si debba partire dalle piccole cose, dai piccoli gesti,
quelli quotidiani e dati per scontato, per iniziare a far amicizia con noi
stessi. Se non conosciamo il nostro corpo, il suo linguaggio, la sua forma
espressiva, non possiamo comunicare e interagire appieno con l’altro e col
mondo. Se ci muoviamo seguendo il flusso senza conoscere la nostra posizione
all’interno di esso non siamo un individuo, siamo massa inconsapevole. Questo
mi spaventa molto. Si può essere massa rimanendo sempre se stessi solo a patto
di sapere chi siamo, cosa ci fa stare bene e cosa non vogliamo, si può essere
noi stessi formando una massa consapevole, un “semplice” insieme di individui.
I concetti di giusto e sbagliato, di bello e di brutto sono per la maggior
parte individuali, validi solo per noi stessi. La giustizia nella massa segue,
a mio parere, la sola legge del rispetto reciproco, dell’empatia, del mettersi
ognuno al servizio degli altri. Ci si dovrebbe domandare se quella cosa, giusta
per noi, sia giusta per l’altro, per gli altri, oppure no. Diventa responsabilità
dell’interlocutore/i rispondere secondo il proprio sentito, sempre a patto che
entrambi conoscano e riconoscano il proprio sentito e il proprio vissuto e
siano in grado di scendere a compromessi, nel flusso per un “bene” comune.
Vale, secondo me, per tutte le sfere dell’uomo.
Tutto cambia nell’individuo che entra in relazione con se stesso,
ciò che può essere giusto, sbagliato, bello, brutto, buono, cattivo per me, può
non esserlo per te… E su noi stessi non dovremmo mai scendere a compromessi.
Una carezza può essere il gesto più tenero e caloroso del mondo se fatto da mia
madre a me, oppure una tortura, un affronto, un dispetto se fatta dalla mano di
uno sconosciuto. Così è per ogni cosa. Ma per rispettare e essere rispettati in
una società io credo sia indispensabile conoscersi, a partire dal proprio
corpo. Come mi piace essere toccata? Qual è la mia posizione di confort? Qual è
il mio spazio vitale, quali sono i miei limiti fisici ed emotivi, sono capace
di dire basta? Di dire no? Di accettare che mi venga detto? Che sensazione
provoca nel mio corpo la rabbia? La frustrazione? L’amore? La gioia?
L’eccitazione?
Esperire, sentire sulla propria pelle, dentro il proprio corpo,
prendere coscienza, esplorare le emozioni, dargli un nome e un movimento, un’espressione
consapevole, confrontarsi con l’altro in maniera paritaria, rimanere dentro se
stessi accettando ciò che è differente da noi, ascoltare... credo sia l’unica
strada possibile per evolverci come individui… e anche come massa sociale.
La Fede

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