domenica 8 dicembre 2019

In Consapevolezza


Quello che temo della società in cui vivo è, tra le tante cose, la sensazione che si sia persa, quantomeno assopita, la consapevolezza individuale, sacrificata a una sempre più ampia e rassicurante consapevolezza collettiva, nel peggiore dei casi inconsapevolezza collettiva. 


Ho l’impressione che una maggioranza crescente di persone necessiti di sentirsi dire cosa fare, come farlo, cosa è giusto e cosa sbagliato. Tutto questo è rassicurante, certo, ma fa sì che l’uomo perda se stesso, perda il contatto con il proprio corpo tanto quanto con il proprio essere e il proprio sentire. Cosa desidero davvero? Cosa mi piace? Cosa mi fa stare bene? Il taglio di capelli, le frequentazioni, gli amici… Non credo che ci sia una risposta giusta e una sbagliata (salvo per i dati di fatto), non metto giudizi, solo credo che in pochi si porgano la domanda. Lo si fa e basta. Oppure si fa il contrario agendo in opposizione rientrando di fatto in un’altra grande e massiva categoria tale e quale alla precedente. Questo mi preoccupa. Compro un paio di scarpe, un modello di cellulare, un marchio di biscotti perchè mi piace, lo preferisco, non perchè lo fanno tutti… Oppure non lo compro perchè non voglio essere come loro e sono come tutti quelli che non sono come loro, finendo per comprare l’altro marchio o a riciclare gli abiti della nonna… anche il vintage fa tendenza… La pubblicità è ovunque, subliminale o sfacciatamente esplicita, a dirci cosa è meglio, cosa è giusto. Credo che porre l’attenzione in primis verso il nostro corpo sia parte fondamentale e basilare per la conoscenza di noi stessi. Credo che sia interessante e utile concentrarci sulle piccole cose, la posizione della nostra mano quando impugniamo lo spazzolino da denti al mattino, in che posizione si trova il nostro corpo quando ci mettiamo le scarpe, che sensazione proviamo quando camminiamo sull’asfalto o sulla sabbia, il suono che fa quella fetta di mela mentre la mastico, che differenza sento quando ho mal di testa o quando ho mal di denti... Credo che si debba partire dalle piccole cose, dai piccoli gesti, quelli quotidiani e dati per scontato, per iniziare a far amicizia con noi stessi. Se non conosciamo il nostro corpo, il suo linguaggio, la sua forma espressiva, non possiamo comunicare e interagire appieno con l’altro e col mondo. Se ci muoviamo seguendo il flusso senza conoscere la nostra posizione all’interno di esso non siamo un individuo, siamo massa inconsapevole. Questo mi spaventa molto. Si può essere massa rimanendo sempre se stessi solo a patto di sapere chi siamo, cosa ci fa stare bene e cosa non vogliamo, si può essere noi stessi formando una massa consapevole, un “semplice” insieme di individui. I concetti di giusto e sbagliato, di bello e di brutto sono per la maggior parte individuali, validi solo per noi stessi. La giustizia nella massa segue, a mio parere, la sola legge del rispetto reciproco, dell’empatia, del mettersi ognuno al servizio degli altri. Ci si dovrebbe domandare se quella cosa, giusta per noi, sia giusta per l’altro, per gli altri, oppure no. Diventa responsabilità dell’interlocutore/i rispondere secondo il proprio sentito, sempre a patto che entrambi conoscano e riconoscano il proprio sentito e il proprio vissuto e siano in grado di scendere a compromessi, nel flusso per un “bene” comune. Vale, secondo me, per tutte le sfere dell’uomo.

Tutto cambia nell’individuo che entra in relazione con se stesso, ciò che può essere giusto, sbagliato, bello, brutto, buono, cattivo per me, può non esserlo per te… E su noi stessi non dovremmo mai scendere a compromessi. Una carezza può essere il gesto più tenero e caloroso del mondo se fatto da mia madre a me, oppure una tortura, un affronto, un dispetto se fatta dalla mano di uno sconosciuto. Così è per ogni cosa. Ma per rispettare e essere rispettati in una società io credo sia indispensabile conoscersi, a partire dal proprio corpo. Come mi piace essere toccata? Qual è la mia posizione di confort? Qual è il mio spazio vitale, quali sono i miei limiti fisici ed emotivi, sono capace di dire basta? Di dire no? Di accettare che mi venga detto? Che sensazione provoca nel mio corpo la rabbia? La frustrazione? L’amore? La gioia? L’eccitazione? 

Esperire, sentire sulla propria pelle, dentro il proprio corpo, prendere coscienza, esplorare le emozioni, dargli un nome e un movimento, un’espressione consapevole, confrontarsi con l’altro in maniera paritaria, rimanere dentro se stessi accettando ciò che è differente da noi, ascoltare... credo sia l’unica strada possibile per evolverci come individui… e anche come massa sociale.

La Fede

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